Un siècle de masques songye et luba
Le maschere Kifwebe sono oggetti cerimoniali utilizzati dalle società Songye e Luba (Repubblica Democratica del Congo), dove vengono indossate con una lunga barba di fibre vegetali e con costumi composti da una lunga veste. Come in altre culture dell’Africa centrale, la stessa maschera può essere utilizzata in cerimonie magiche, religiose o festive. Per comprendere le maschere Kifwebe è essenziale considerarle all’interno della cosmogonia del serpente arcobaleno, della lavorazione dei metalli nella fucina e di altre simbologie vegetali e animali.
Tra i Songye, le maschere femminili di natura benevole rivelano ciò che è nascosto e bilanciano l’energia bianca e rossa associata a due iniziazioni successive, il cosiddetto bukishi. Le maschere maschili, maggiormente aggressive, erano coinvolte fin dall’inizio nel controllo sociale e avevano una sorta di ruolo di polizia, svolto secondo le istruzioni degli anziani del villaggio. Le due forze maschili e femminili agiscono in modo equilibrato per rafforzare l’armonia all’interno del villaggio. Tra i Luba, anche le figure mascherate sono benevole e compaiono in corrispondenza della luna nuova, e il loro ruolo è quello di aumentare la fertilità.
Sebbene le maschere maschili e femminili svolgano funzioni non del tutto sovrapponibili, hanno alcuni caratteri in comune: una cresta frontale, gli occhi rotondi e fortemente sporgenti, le narici svasate, la bocca e le labbra a forma di cubo, una decorazione a strisce colorate.
Gli storici dell’arte e gli antropologi hanno nutrito un interesse sempre più evidente per le maschere Kifwebe negli ultimi anni. Questo libro, attraverso lo studio della collezione di Woods Davy, offre una nuova prospettiva sulle maschere Kifwebe dei Songye e dei Luba.
François Neyt, docente all’Université catholique de Louvain, ha inoltre insegnato all’Université officielle du Congo. Ha pubblicato numerose opere sulle arti africane come La Grande Statuaire Hemba du Zaïre (1977); Arts traditionnels et Histoire au Zaïre (1981); Luba. Aux sources du Zaïre (1993); La Redoutable Statuaire songye d’Afrique centrale (2009); Fleuve Congo (2010); Fétiches et objets ancestraux (2013); Trésors de Côte d’Ivoire (2014).
Allen F. Roberts è professore di Arti e Culture del Mondo presso l’Univcersità della California (UCLA). Tra le sue opere riguardanti la civiltà subsahariana vale la pena ricordare A Dance of Assassins: Performing Early Colonial Hegemony in the Congo (2013) e, in collaborazione con sua moglie, Mary Nooter Roberts (†), Visions of Africa: Luba (5 Continents, 2007).
Kevin Dumouchelle ha conseguito un dottorato in Storia dell’Arte e Archeologia presso la Columbia University. Nel 2016 è entrato a far parte dell’équipe del Museo Nazionale d’Arte Africana, dove è stato il curatore di «Visionary: Viewpoints on Africa’s Arts» (2017). In precedenza ha lavorato per un decennio al Brooklyn Museum come curatore responsabile delle arti dell’Africa e delle isole del Pacifico.
Woods Davy potrebbe essere considerato tra i primi artisti “verdi” di tradizione postmoderna poiché la sua opera consiste nell’interpretare la natura con nozioni di unicità orientale o zen, nonché il rispetto non distruttivo per la materia naturale in stati inalterati. Le sue opere sono presenti in molti musei e istituzioni californiane, tra le quali il Palm Springs Desert Museum, l’Orange County Museum of Art, il San Diego Museum of Art, oltre a numerose collezioni pubbliche e private in tutto il mondo.
Kellim Brown ha completato la sua formazione nel 1997 presso il National Museum of African Art dello Smithsonian. Dal 2012 al 2015 ha svolto ogni anno missioni di studio riguardanti le etnie che popolano il nord della Repubblica Democratica del Congo.