Alain-Michel Boyer
Il popolo We, il cui nome significa “uomini che perdonano facilmente”, vive nelle foreste alla frontiera occidentale della Costa d’Avorio. Tale denominazione è abbastanza recente tanto che per lungo tempo furono soprannominati con altri appellativi quali Guere, Wobe, Kran. Abitano in corrispondenza del confine tra Liberia e Costa d’Avorio, e sono quindi considerati, in entrambi i Paesi, una popolazione “periferica”. All’interno dei clan il nucleo familiare svolge un ruolo di primo piano: lo guida un patriarca, venerato per la sua saggezza e ricchezza, che ha il compito di organizzare matrimoni, risolvere i conflitti e, non da ultimo, influenzare la vita religiosa.
Si tratta di una vera e propria “civiltà delle maschere” a differenza di altre società che ne sono prive, come gli Ashanti in Ghana.Ogni villaggio ha le proprie, e ne ha in abbondanza. Insolite, esuberanti, fantasmagoriche, sorprendono per la loro diversità, la loro non banale inventiva formale tanto da aver influenzato quelle dei popoli vicini. Le maschere partecipano alle celebrazioni rituali delle molteplici fasi della vita, e hanno le più disparate funzioni: giuridiche, mistiche, agricole. Tuttavia, a differenza di ciò che avviene in altri contesti, ossia dove la morfologia del determina facilmente il significato, la portata, e il tipo di cerimonia, per la popolazione We la forma non fornisce indizi utili al fine di attribuire alla maschera una particolare funzione e simbologia.
L’estrema arditezza plastica che connota tali manufatti dovette certamente incantare l’Occidente tanto che furono proprio le maschere We a influenzare gli artisti cubisti. Basti pensare che Kahnweiler, il celebre mercante di Picasso, raccontava che l’artista possedeva una maschera Wobé e che furono proprio la sua analisi e la sua osservazione ad attrarre e condurre Picasso verso le radicali e innovative trasformazioni di cui risentono le sue opere.
Alain-Michel Boyer, antropologo e storico dell’arte. Ha conseguito un dottorato alla Sorbona, una Fullbright Scholarship e ha insegnato in diverse università americane. È membro del Conseil National des Universités à Paris, dove è ormai professore emerito di arte africana. Ha vissuto due anni in un villaggio della Costa d’Avorio, dove torna spesso. Ha fatto diversi soggiorni di ricerca in Mali, Ghana, Zimbabwe e altri paesi africani e scritto una ventina di libri tra i quali ricordiamo Comment regarder les arts d’Afrique (Hazan, 2017), Le Corps africain (Hazan, 2006), nonchéla prima opera dedicata alle famose maschere yohouré: Les Yohouré de Côte d’Ivoire. Faire danser les dieux (Ides et Calendes, 2017). Vanta già due pubblicazioni con 5 Continents Editions: Baule (2008), e Les Figurines kulango. Les esprits mystérieux de la brousse de la collection Pierluigi Peroni (2017).